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In mezzo al guado, a cosa mirare?

22 Marzo 2020

Intervista al Rettore, don José Clavería

di Chiara Flores d'Arcais

 

Don Pepe, per cominciare ci racconti come stai vivendo tu questi giorni?
Questo arresto imposto dal contagio ci ha fermato. Proprio noi che ormai non sappiamo più fermarci, corriamo sempre in avanti, tesi verso un futuro che immaginiamo. Lo ha scritto recentemente l'Abate Lepori: “Fermarsi liberamente è diventato quasi impossibile nella cultura occidentale. Neppure per le vacanze ci si ferma veramente (...) Ora, però, un contrattempo sgradevole come un’epidemia ci ha fermati quasi tutti. I nostri progetti e i nostri piani sono stati annullati, e non sappiamo fino a quando.”
Io passo le mie giornate insieme ai tre preti con cui abito. Tre volte al giorno, al mattino, prima del pranzo e prima della cena, preghiamo insieme. A tavola parliamo di come sta andando l'espansione del virus, su come lottano o muoiono tante persone a noi care. Dedico molto del mio tempo a lezioni e incontri in videoconferenza. Un po' anche ai lavori domestici. Il tempo libero va ad un po’ di attività fisica – pur entro i limiti strettissimi in cui questo è possibile ora - ai libri e a qualche film. Sto rileggendo la biografia di John Henry Newman di Ian Ker (ancora non esiste la versione italiana, ho quella inglese e quella spagnola). Ogni giorno parlo con docenti, ragazzi e amici. Soprattutto con chi lo desidera, ma prendo anche l'iniziativa.

Questo arresto forzato ha posto tutti noi in una condizione di fatica, di solitudine, in alcuni casi di dramma. Come questa circostanza può essere occasione di crescita e di maggior consapevolezza?
Fermarsi vuol dire per me ritrovare l’istante da vivere ora, la vera realtà, e quindi anche la vera realtà di me stesso, della mia vita. Una ragazza mi diceva che sta scoprendo sé stessa. Viviamo solo nel presente, ma spesso siamo con la testa nel passato che non c’è più o in un futuro immaginato che non c’è ancora e forse non ci sarà mai.
Dio ci chiede di fermarci. E ora ci si offre la grande occasione. Vuole che ci fermiamo davanti a un fiore, come mi diceva un allievo, o davanti a quella sorella a cui a mala pena davo la mia attenzione, come diceva un altro, e che vi rimaniamo davanti liberamente, sostando fino a scoprire ciò che pensavamo di conoscere già.
Fermarsi e sostare, come nudi, finche ciò che ancora ci è dato ci riempie di meraviglia e silenzio. Dice ancora Lepori: “Dio ci chiede di fermarci riconoscendo che la sua presenza per noi riempie tutto l’universo, è la cosa più importante della vita, che nulla può superare. Fermarci di fronte a Dio significa riconoscere che la sua presenza riempie l’istante e quindi soddisfa pienamente il nostro cuore, in qualsiasi circostanza e condizione ci troviamo.”

Ma cosa può rispondere alla nostra paura? Come potremo rimanere positivi, soprattutto se la situazione andrà perdurando o peggiorando? E come comunicare ai figli un atteggiamento positivo attraverso l’educazione?
Certamente non vinciamo la paura con la pretesa di aver tutto chiaro, né attaccandoci a tante piccole certezze sui dettagli della situazione. Siamo in mezzo al guado. Ci muoviamo come possiamo. Ma di una cosa sono certo: in tutto questo è nascosto un grande bene per ognuno di noi. Occorre solo avere l'apertura e la disponibilità perché esso si sveli pian piano.
Attenzione però: riconoscere in questa circostanza una possibilità straordinaria di scoprire un tesoro nascosto in mezzo alle pieghe di quanto sta accadendo non vuol dire fuggire la realtà, o fare il furbo, o rassegnarsi imbruttendosi sul divano. Infatti, tutti siamo all’opera per difenderci dal male. Ma vuol dire fare un certo - e raro - lavoro dentro il lavoro che tutti svolgono: chiedersi, cercare cosa vuol dire Dio alla mia vita oggi. Occorre cercare un giudizio, qualcosa che resterà e cambierà la mia vita anche dopo questo tempo straordinario.
Un bambino mi ha scritto chiedendo: "perché Gesù non ascolta le nostre preghiere e fa stare male tante persone? Perché non guarisce le persone malate?" Io ho risposto che le sue domande sono giuste. Toccano un grande mistero che è quello del male e della sofferenza nel mondo. Il male, la malattia, non vengono da Dio. Siamo stati noi a introdurre il male nella natura e in noi stessi. Infatti che cosa ha fatto Dio per venirci incontro? Ha inviato il Suo Figlio al mondo a vivere come noi, a soffrire il male, l'ingiustizia. Lui ha voluto prendersi il male su di sé e, accettandolo, usarlo come un modo per amare noi. Così ha usato ciò che è male per fare un bene. Gli dicevo: "Tua mamma fatica per te e tu così scopri che ti vuole bene". Dio permette il dolore perché noi siamo sempre più vicini a Lui, al Suo modo di fare. Così tua mamma imita Dio: usa anche della sua fatica per esprimere il suo amore. Così noi soffriamo per non potere andare in giro, ma questa fatica dice di quanto vogliamo bene gli altri. Anche se sconosciuti. Anche tu puoi iniziare a fare così e diventare grande. Ci stai?"
Ecco, per questo bambino la vittoria sulla paura è vedere la mamma che attraversa questa paura perché si sa accompagnata. Una figliolanza a cui ognuno di noi è invitato. Una certa solitudine ci può aiutare a capire che in realtà non siamo mai da soli.

Spesso in questa situazione siamo tentati di sopportare anziché vivere il presente. Come si può invece cogliere l’essenziale senza essere soffocati dalla fatica e dal disorientamento?
Il presente diventa affascinante, anche nelle situazioni di fatica, se si riconosce Chi lo abita. Se vissuto come segno di una presenza, come ha detto Julián Carrón in una lettera pubblicata recentemente. Una mamma della nostra scuola mi diceva ieri: "Si capisce che in tutto questo c'è una grande opportunità di fare quello che ci è dato di fare e di farlo meglio di prima (ad esempio fare meglio la donna di casa) e si percepisce anche gratitudine. Poi si cercano testimoni." Semplice ma molto vero. Scoprire il gusto delle cose che pensavamo di sapere già e avevamo un po' scartato come roba da evitare, se possibile. Poi cercare chi vive la vita cogliendo questa densità nell'istante.

In un momento così incerto e drammatico, cosa significa guardare al futuro? Spostare l’obiettivo del presente a quando le cose si saranno sistemate? E come si farà a tornare come prima con tutti i drammi vissuti e tutte le lacune, anche scolastiche, che la situazione lascerà?
Ah si, il solito "andrà tutto bene"... Ma come facciamo a saperlo? Anzi, mal che vada moriremo tutti! Vedo in questa frase presa fuori contesto una pericolosa illusione. Un po' come dire: adesso ci rassegniamo, poi il temporale cesserà e saremo a posto, come prima. Non ci sto. La speranza non è un'immagine ottimistica del futuro. La speranza è nel presente! La mia speranza si basa su un bene presente che niente e nessuno mi può strappare. Neanche la malattia o la morte.
G. K. Chesterton, in un suo libro che s’intitola La ballata del cavallo bianco, racconta di Alfred il Grande, re d'Inghilterra più di 1100 anni fa, che nel momento più buio della sua vita si trovò assediato nella sua fortezza e circondato dai Danesi che invadevano il sud dell'isola. Come racconta la traduttrice dell'opera in italiano, Annalisa Teggi, immaginate "un uomo solo e impotente, chiuso tra quattro mura, costretto a subire l’attacco di un nemico dalle proporzioni gigantesche e dalla forza incontenibile". Alfred invoca la Madonna: “mi puoi garantire che tutto finirà bene?”. Lei risponde così:

"Non dico nulla per il tuo conforto,
e neppure per il tuo desiderio, dico solo:
il cielo si fa già più scuro
ed il mare si fa sempre più grosso.
La notte sarà tre volte più buia su di te
e il cielo diventerà un manto d’acciaio.
Sai provar gioia senza un motivo?"
Sempre la traduttrice va al punto: "Quello che Lei porta è più solido di un diamante. Perché la speranza non ha le sue radici sull’esito degli eventi futuri; sperare è qualcosa che mi deve fare stare in piedi nel qui e ora dell’incertezza, anche al cospetto della consapevolezza che domani sarà peggio."

Chesterton conclude:
"gli uomini segnati dalla croce di Cristo
vanno lieti nel buio".

Domandiamo di avere una gioia che non dipende dalle circostanze, un rapporto che abbia una tale solidità da poter sussistere dentro ogni circostanza, positiva o negativa che sia. Infatti Alfred va in guerra avendo di fronte a sé solo prospettive di cupa sconfitta. I nemici non capiscono perché sul suo volto ci sia il sorriso.
Io non voglio tornare come prima, voglio che la mia umanità e quella dei nostri studenti, docenti e famiglie, cresca, maturi. Se diventeremo più uomini, affronteremo le lacune e le perdite, scolastiche, famigliari o economiche che siano, con una posizione umana ben più preziosa di tutte le perdite subìte. Più maturi, e dunque con una capacità cento volte più grande di lavorare, senza lasciarsi distrarre da tante cose superflue di cui ancora siamo un po' schiavi.

Molti di noi, soprattutto i ragazzi, si chiedono: cosa significa in questo momento essere liberi?
Infatti una studentessa mi chiedeva ieri: “Ogni giorno devo compiere una scelta. Come non lasciarmi andare? Come essere protagonista? Come riappropriarmi di me stessa?” Un'altra mi diceva: ho provato di tutto, ma non ci riesco.
La libertà è il dono di poter scegliere ciò che ci fa crescere come umanità anche quando ci è tolto tanto. La libertà vera consiste nel fermarsi di fronte a Lui, nel riconoscerLo presente e amico attraverso tutto ciò che ci dà. Una volta gli amici di Gesù erano con Lui nella barca e c'era la tempesta. Solo quando i discepoli riconobbero la presenza di Dio e la accolsero come tale, cioè si fermarono davanti ad essa, passarono diffidenza e paura. Non esiste un atto più libero e più liberante di questo. Tutto cambia.

Una domanda di molti genitori in questa inedita condizione di “scuola a casa”: come sollecitare la libertà dei figli senza sostituirsi a loro, pur nella necessità di seguirli nello studio?
Rispetto ai più piccoli mi viene in mente il grandissimo sforzo che stanno facendo i genitori. Avendo il loro lavoro e i compiti domestici, adesso sono chiamati anche ad accudire i figli nel fare scuola. Commuove sentire come tutti stanno cercando di porre i propri figli nelle condizioni di lavorare, anche proponendo loro un orario nella giornata, di come li aiutano quando si bloccano. Questo è ciò che è chiesto ora, non di sostituirsi a loro. Ieri mi diceva una mamma: "Un contributo positivo è venuto dall'amicizia "operosa" con un'altra mamma: per aiutare i nostri figli a studiare, facciamo fare loro i compiti insieme la mattina via Skype o anche solo Whatsapp: loro sono felicissimi e non vedono l'ora di incontrarsi, la correzione è accolta meglio, tra noi adulti siamo aiutati in un maggiore distacco, ed io e lei ci alterniamo per seguirli e verificare il lavoro."

Come si pone rispetto a tutte queste problematiche il tentativo della scuola della didattica a distanza? Che ruolo hanno la scuola e la didattica in questo momento? Solo adempiere al programma per non perdere l’anno?
In queste settimane i nostri insegnanti stanno facendo di tutto per accompagnare gli studenti nella didattica, con uno sguardo positivo sulla realtà senza censurare niente. Sappiamo che la presenza non è sostituibile, nemmeno con la presenza attraverso il digitale. Ma anche attraverso una strettoia può passare tanto. I programmi adesso puntano su ciò che è veramente essenziale.
Nella lettera con il programma per la prossima settimana, i presidi e le coordinatrici hanno dato delle indicazioni preziose per non perdersi. Chi partecipa alle video conferenze si faccia vedere! Guardare ed essere guardato è importate, perché si tratta più che mai di imparare a guardare e sostenersi nell’individuare un punto di certezza.
Dentro tutto questo tendiamo verso il bene dei nostri ragazzi, che certamente c'è e ci sarà. Camminiamo insieme fiduciosi, in attesa di scoperte di un tale calibro che ci accompagneranno adesso e anche quando tutto questo sarà passato.