18 Gennaio 2024
Lo scorso 15 gennaio 2024 la Fondazione Sacro Cuore ha avuto l’onore di ospitare il Maestro Daniele Gatti, direttore d’orchestra di fama mondiale, che dal 2019 dirige l’Orchestra Mozart e, dal luglio 2021, è Sovrintendente del Maggio Musicale Fiorentino.
Gatti ha incontrato gli studenti e i docenti del Liceo Artistico e, rispondendo alle loro domande, li ha condotti alla scoperta della musica d’insieme, dell’interpretazione del testo musicale e dell’esperienza della direzione di un’orchestra.
La bellezza ha tempo
L’incontro si è svolto nell’ambito più ampio della riflessione tematica che i ragazzi conducono insieme ai docenti in quest’anno scolastico, “La bellezza ha tempo”, che ha informato anche la sessione residenziale di due giorni con visite culturali e incontri a Lugano nel mese di settembre. L’evento centrale di questa due giorni si è svolto al LAC (Lugano Arte e Cultura): il concerto nel quale l’orchestra Mozart, diretta proprio dal Maestro Daniele Gatti, ha proposto la IV e la V sinfonia di Beethoven.
In quell’occasione i ragazzi hanno avuto modo – in molti casi per la prima volta - di conoscere e confrontarsi con l’arte della musica classica e in particolare con l’esecuzione di un’opera dal vivo.
La musica ha il potere di trarre a sé l’anima intera (Dante, Convivio)
Fin dalla sera stessa del concerto i ragazzi hanno cominciato a porre domande e ad interessarsi ad un linguaggio artistico che spesso nel mondo contemporaneo è sottovalutato o poco noto: qualcosa è accaduto, e ha segnato una strada di incontro e di conoscenza con la musica che la proposta di dialogo con il Maestro Gatti ha voluto riprendere e consolidare.
La musica classica vs musica leggera: cosa cerchiamo nella musica?
Introducendo l’incontro, il maestro Daniele Gatti ha iniziato ponendo agli studenti alcune domande: cos’è la musica classica? Perché vi sentite lontani da questo mondo? Cosa ascoltate e cosa vi dà la musica? Cosa cercate nella musica?
Per tanti anni – ha annotato Gatti - si è fatta differenza tra musica “colta” e musica “leggera”, che sembra abbia attecchito di più nel pubblico. Nella musica leggera ascoltate la musica o il testo? È il testo che vi fa sentire in un certo modo? O sono la musica, l’armonia o il ritmo?
La prima differenza tra musica classica e musica leggera è senz’altro l’assenza, nella musica classica, di un testo (a parte nell’opera lirica), che non significa però assenza di un racconto: nella musica leggera il testo aiuta a capire cosa sta accadendo all’eroe, al protagonista del testo. La musica sinfonica lascia all’ascoltatore la libertà di immaginare tutto questo: c’è dietro un racconto, che posso costruire da me stesso, con la mia fantasia, un racconto che chi ha scritto questo brano ci vuole narrare attraverso un linguaggio che non è testuale, ma è una concatenazione di note sia orizzontale sia verticale - le armonie - che possono creare tensioni, come chi ci racconta un fatto e non risolve il racconto ma lo arricchisce di situazioni, e tira fino alla conclusione.
Quando si ascolta musica classica ci si allontana dagli stimoli esterni (si spegne il telefono) e si ha la possibilità e la fortuna di essere in rapporto con se stessi, in ascolto, e di crearsi una storia: è un vantaggio raro, che fa crescere la nostra fantasia, la nostra profondità, e ci avvicina empaticamente agli altri.
Ascoltare un brano di musica sinfonica non richiede cultura musicale, ma cuore.
Occorre allora – ha proseguito Gatti - incontrare un nuovo genere, un nuovo linguaggio. La musica classica non è qualcosa di inarrivabile e difficile, ma richiede il nostro cuore, la nostra apertura, e niente può sostituire la magia di un concerto, perché ciò che accade in quel momento sul palco è irripetibile, e accade senza amplificazione, con strumenti che magari hanno 300 o 400 anni, e tutto avviene in diretta. Si arriva ad un concerto emotivamente preparati. Non è solo il concerto, è un insieme di cose.
Un’esperienza, quella descritta dalle parole del Maestro, che tanti ragazzi hanno fatto a Lugano, e che ha suscitato le loro domande:
Quanto spazio ha la persona nella sua complessità nella composizione musicale o nell’esecuzione dell’opera di un altro? Che valore hanno i singoli musicisti davanti al direttore? Sono solo strumentisti che fanno ciò che lei dice o hanno valore per la propria personalità?
I musicisti – ha spiegato Gatti – possono essere creatori (i compositori), teorici (i saggisti e i musicologi) o interpreti (direttore, violinista, pianista ecc.), e l’interpretazione musicale è la stessa del teatro: richiede preparazione tecnica ma non è solo esecutiva, deve capire come è stato scritto il brano e qual è il suo messaggio.
Il pensiero musicale ha una sua spiritualità interna che percorre la vita di un interprete, che cresce insieme a noi, filtrato dalle conoscenze che ognuno accresce negli anni.
Allo stesso tempo però la sensibilità musicale deve essere arginata e indirizzata attraverso uno studio tecnico molto preciso, altrimenti l’interprete prenderebbe il sopravvento sul brano musicale. Così il talento dei vari interpreti ci fa scoprire cose sempre nuove dello stesso brano.
E ogni musicista dell’orchestra, a cui è richiesto un livello qualitativo altissimo, sa di mettere al servizio la sua tecnica e la sua abilità per un risultato comune, e che dovrà collaborare col direttore, che è un musicista anch’egli ma usa uno strumento diverso.
I gesti del direttore sono codificati?
Il direttore ha pochissimi gesti, condivisi a livello internazionale, perché la scrittura musicale sta all’interno di battute (o misure) d’orchestra, che danno un certo tipo di ordine. Il gesto del direttore è legato a queste battute, che sono a 2, 3, 4 o 5 tempi.
I questi gesti entra poi la fisicità di ognuno: c’è chi usa solo il polso, chi tutto l’avanbraccio ecc.. Poi c’è l’enfasi, perché la musica non è fatta solo di ritmo, ma anche di dinamica (piano, forte), di esecuzione d’insieme (tante persone devono andare perfettamente insieme), e poi c’è la cosiddetta espressione (un passaggio poetico, uno dolce, un altro più irruente, un momento di stasi dove l’attesa a ciò che viene dopo deve essere preparata, una zona in cui spingere verso la fine, ecc.).
Il direttore è come il mimo, che racconta una storia solo attraverso la sua fisicità. E il musicista grazie a questo linguaggio è spinto a dare il meglio di sé, queste indicazioni danno spazio alla sensibilità di ogni singolo musicista. È un dialogo tra il direttore e i musicisti, in cui ci sono anche momenti in cui non il direttore non dirige, lascia spazio agli altri musicisti, lascia andare l’orchestra come si allentano le briglie di un cavallo prima che salti l’ostacolo.
Perché ha deciso di diventare direttore invece che suonare uno strumento?
È avvenuto tutto naturalmente. Ero portato per la musica già da bambino. Poi sono entrato in conservatorio in prima media, e per i primi tre anni non studiavo, giocavo solo a calcio…Mio papà comprava i dischi di musica sinfonica alla Ricordi in Galleria, e la sera voleva che li ascoltassi insieme a lui, 15, 20 minuti. E il suono dell’orchestra, più di quello del pianoforte che studiavo, cominciava ad entrarmi nelle orecchie. Poi mi portò alla Scala a vedere l’opera, e io mi concentrai solo sull’orchestra. Fu lì che decisi che volevo fare il direttore d’orchestra.
Ha mai paura di sbagliare quando dirige?
Più che la paura di sbagliare c’è il dubbio che quello che stai raccontando in musica sia compreso o no dal tuo pubblico. Lo sbaglio può accadere, e il nostro gesto può fermare per esempio chi entra nel momento sbagliato nel brano. Ma può accadere che il pubblico non sia sempre intonato con quello che noi quella sera vogliamo fargli sentire, che abbia voglia di ascoltare altro…questa è la paura che possiamo avere, perché il pubblico non è una parte passiva di una serata di un concerto: se sei aperto sei disposto a scoprire cosa quel brano potrà comunicarti, a scoprire cose nuove rispetto a quell’interpretazione.
Come, nel suo percorso, ha deciso quali punti enfatizzare nell’interpretazione di un certo brano? Nel teatro musicale può deciderlo l’attore?
L’opera lirica è governata dal direttore d’orchestra che si avvale della collaborazione di un regista, ma il primo regista è il compositore. Giuseppe Verdi, il massimo compositore italiano che studia la psicologia dell’uomo nell’opera lirica, porta sul palco le miserie umane, e lo fa attraverso la musica. La sua musica dà già l’idea del rapporto tra i personaggi, il loro carattere, e noi abbiamo la responsabilità di capire il messaggio che quell’opera lirica vuole comunicare.
Come riesce a memorizzare tutte le note di un concerto?
Non le memorizzo tutte, ma c’è una memorizzazione della scrittura, dell’andamento musicale. Quando uno impara una canzone di musica leggera non è tanto lontano da ciò che facciamo noi. La differenza è che i brani musicali vengono assorbiti non solo con l’ascolto, ma attraverso lo studio. Sull’interpretazione invece c’è una tradizione, che influenza molto il pubblico, ma si possono anche scegliere altre strade, scostandosi da questa tradizione accomodante.
Ho sempre pensato che la difficoltà ad approcciarsi alla musica classica fosse dovuta alla mancanza di mediatori o divulgatori. Esistono persone così per avvicinare il grande pubblico alla musica classica?
Confido in chi decide di dedicare del tempo per avvicinarsi a qualcosa che gli sembra ostico. Per esempio, il giro di DO che ogni chitarrista conosce, ha generato musica per più di 200 anni (le opere di Rossini sono costruite sul giro di DO!), solo che sulla chitarra lo si riconosce facilmente, in altri brani è meno intuitivo. Effettivamente poi la canzone di musica leggera sollecita il ritmo, che è un ritmo sincopato: in alcuni brani di Stravinsky questo ritmo sincopato è cento volte più accentuato!
La musica leggera ha chitarra elettrica, basso, batteria. La musica classica ha una tavolozza di colori molto più ampia. Il problema è che 3 minuti di musica leggera esauriscono la concentrazione dell’ascoltatore, 3 minuti di musica classica sono solo l’introduzione al brano…occorre solo più pazienza!
Le sinfonie di Beethoven sono composte da 5 capitoli, che introducono diversi personaggi (temi). Se ascoltiamo così le sinfonie, saremo noi che costruiremo, da registi, la storia. E in ogni brano c’è la possibilità di riconoscere i personaggi musicali creati dai temi musicali: non c’è il testo, il ritmo può essere cento volte più vario rispetto alla musica leggera, ci vuole solo più tempo per entrare in questa musica.
Lei è responsabile di come la musica dovrà colpire l’animo del pubblico. Ma anche da parte nostra ci deve essere l’intenzione di riflettere su noi stessi.
Si tratta di leggere qualcosa non attraverso lo sguardo, ma con l’orecchio. Ma ciò che ti colpisce attraverso lo sguardo colpisce le stesse emozioni attraverso l’ascolto. Questa è la potenza evocativa dell’armonia, perché la musica non è fatta di melodia. Ogni accordo suscita diverse emozioni o stati d’animo. Tutto questo avviene senza che noi ce ne accorgiamo, ed è molto diverso dall’immagine, da cui tu puoi distogliere lo sguardo se ti turba.
Ciò che è il tuo stato d’animo di fronte alla musica dipende da te. Tu devi essere aperto, ma se vieni a sentire la prova di un concerto che io faccio per esempio per un gruppo di giovani, posso far avvertire al pubblico dei cambiamenti in sé rispetto all’esecuzione di uno stesso brano. La nostra responsabilità è cercare di essere il più chiari e convincenti possibili affinché chi non conosce ciò che stiamo facendo non abbia un’idea distorta.
Nel suo lavoro le capiterà di ripetere la stessa sinfonia. Come questa ripetizione rimane creativa?
Il fare e rifare produce un progresso ogni volta. La differenza la crea il pubblico, è una premiére tutte le sere! La premiére è la prima, ma le sere dopo hanno la consapevolezza di ciò che è accaduto la sera precedente. E il pubblico è una parte viva del concerto, lo senti da come respira, da come applaude, dalla reazione che ha alla fine di un brano, ogni serata deve essere creativa.
Spero che chi è qui oggi – ha concluso Gatti - sia il pubblico di oggi e di domani: io esorto solo a non avere paura della musica classica, perché deve essere una scoperta e un piacere, per essere nella piena fantasia di sé stessi, come un arricchimento non solo culturale ma umano.
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